Querela di falso contro verbale per sosta sulle strisce: la moglie del trasgressore può testimoniare

Un uomo riceve una sanzione per aver sostato sulle strisce pedonali e propone querela di falso contro il verbale di accertamento. L’agente accertatore, infatti, ha dichiarato che il trasgressore era assente al momento del fatto, mentre, in realtà, si trovava sull’auto in sosta, insieme alla moglie e alla cognata, in attesa del figlio che si era recato a sostituire un gioco presso il vicino negozio.

Un parente dell’opponente può testimoniare nel giudizio per querela di falso contro il verbale di accertamento?

La Corte di Cassazione, Sezione II, con l’ordinanza del 23 luglio 2024, n. 20363 (testo in calce), ricorda che, in seguito alla declaratoria di incostituzionalità dell’art. 247 c.p.c.il giudice non può escludere la credibilità del teste per il solo fatto che questi sia legato da vincoli familiari al ricorrente. Il vincolo di parentela può essere valutato, unitamente ad altri elementi, al fine di stabilire la credibilità (o meno) del teste e tale valutazione, se adeguatamente motivata, è incensurabile in sede di legittimità. Il giudicante può esprimere una valutazione negativa sulla credibilità del teste allorché emerga la prova di un interesse concreto e attuale, «idoneo ad attribuire al teste, in relazione alla situazione giuridica oggetto del giudizio, la legittimazione a chiedere nello stesso processo il riconoscimento di un proprio diritto».

La decisione è interessante anche sotto un altro profilo. Nel giudizio per querela di falso sul verbale di accertamento, i giudici di merito hanno escluso l’attendibilità della testimonianza stante il valore fidefacente del documento. Tuttavia, il giudizio ex art. 221 c.p.c. è diretto proprio a privare il verbale della fede privilegiata di cui gode, pertanto, i giudici non potevano utilizzare il valore di prova legale – in discussione nel procedimento per querela di falso – al fine di considerare non credibili le testimonianze. In buona sostanza, la fede privilegiata del verbale oggetto del giudizio per querela di falso non può costituire un elemento da valutare, in concorso con gli altri, per stabilire l’attendibilità dei testi, ma solo dopo aver accertato «la permanenza del suo valore fidefaciente per effetto della inidoneità delle prove offerte a dimostrarne la falsità» può essere un elemento da utilizzare per decidere la credibilità dei testimoni.

La vicenda

Un uomo riceve una contravvenzione per aver lasciato l’auto in sosta su un passaggio pedonale; l’automobilista adisce il giudice di pace per ottenere la declaratoria di falsità ideologica dell’attestazione presente sul verbale secondo cui non era stato possibile contestare la contravvenzione per assenza del trasgressore. In primo e secondo grado, la domanda attorea viene rigettata, atteso che le testimonianze poste a suffragio della sua presenza al momento del fatto erano offerte dalla di lui moglie e cognata e, pertanto, non erano ammissibili, avendo queste ultime un interesse nella vicenda.

Si giunge così in Cassazione.

Premessa: contestazione immediata e contestazione differita

La contestazione è l’atto formale con cui l’agente accertatore comunica al trasgressore il compimento di un fatto illecito indicandogli la disposizione violata. Il Codice della Strada prevede come regola generale la contestazione immediata della violazione (art. 200 C.d.S.); infatti, la norma dispone che, quando è possibile, sia immediatamente contestata tanto al trasgressore quanto alla persona che sia obbligata in solido al pagamento della somma dovuta. La contestazione differita (art. 201 C.d.S.) avviene entro 90 giorni dall’avvenuto accertamento nelle ipotesi in cui la violazione non possa essere immediatamente contestata. In tale circostanza, nel verbale, devono esserne indicati i motivi, fatti salvi i casi espressamente previsti dall’art. 201 c. 1-bis C.d.S. in cui, pur in presenza di contestazione differita, non è necessario indicare le motivazioni, ad esempio, nelle ipotesi di:

  • impossibilità di raggiungere un veicolo lanciato ad eccessiva velocità;
  • attraversamento di un incrocio con il semaforo indicante la luce rossa;
  • sorpasso vietato;
  • accertamento della violazione in assenza del trasgressore e del proprietario del veicolo;
  • […]

Nel caso di specie, l’agente accertatore ha operato una contestazione differita sostenendo che il trasgressore fosse assente, vale a dire l’ipotesi indicata dall’art. 201 c. 1-bis lett. d) C.d.S., mentre l’opponente nega tale circostanza e, per questo, propone la querela di falso avverso il verbale. Infatti, la presenza o l’assenza del contravventore produce conseguenze in ordine alla tempistica della contestazione, immediata o differita.

La non credibilità dei familiari come testi non può stabilirsi aprioristicamente

Secondo il ricorrente, il verbale afferma falsamente la sua assenza al momento della contestazione e, per dimostrare la falsità di tale asserzione, egli chiama come testimoni la moglie e la cognata. Esse dichiarano che, al momento del fatto, l’auto era in sosta, con il motore acceso, visto che i familiari erano in attesa che il figlio tornasse dal negozio dove era andato a sostituire un gioco. Ad avviso dei giudici di merito, tale versione dei fatti, pur essendo supportata dalla testimonianza della moglie e della sorella, non può prevalere sul resoconto del verbale che ha fede privilegiata. Infatti, la decisione gravata afferma che le due donne, in quanto familiari, sono parti interessate a provare una versione alternativa a quella indicata nel verbale e, quindi, risultano inattendibili. Invece, secondo l’opponente, ai fini dell’incapacità a testimoniare, è necessario che il testimone abbia un interesse personale, attuale e concreto al rapporto controverso, non bastando un interesse di mero fatto.

La Suprema Corte considera fondata la censura.

Preme ricordare che secondo l’art. 246 c.p.c. non possono essere chiamate a testimoniare persone che abbiano un interesse nella causa. Mentre, il successivo art. 247 c.p.c. è stato dichiarato costituzionalmente illegittimo laddove prevede l’incapacità a testimoniare di parenti e affini, dovendo il giudice effettuare un accertamento in concreto ai fini della valutazione sull’attendibilità del teste (


C. Cost. 248/1994). Pertanto, è insussistente il divieto di testimoniare previsto per i parenti e al giudice di merito è precluso un giudizio aprioristico di non credibilità delle deposizioni rese dai soggetti di cui all’art. 247 c.p.c. Il giudicante può valutare il vincolo di parentela unitamente ad altri elementi al fine di stabilire la credibilità (o meno) del teste e tale valutazione, se adeguatamente motivata, è incensurabile in sede di legittimità (Cass. 98/2019


Cass. 17630/2010


Cass. 17384/2004


Cass. 1632/2000). 

Il verbale di accertamento nel giudizio di querela di falso non ha valore di prova legale

La sentenza gravata afferma che il verbale – oggetto del procedimento per querela di falso – vada considerato come fonte di prova, in quanto assistito da fede privilegiata; invece, secondo il ricorrente, la querela di falso persegue la finalità «di rimuovere dal mondo giuridico l’attitudine del documento falso, dotato di efficacia di prova legale, di determinare il falso convincimento del giudice, sicché esso non poteva assurgere ad autonoma fonte di prova della sua autenticità o veridicità».

I giudici di legittimità ritengono fondata la doglianza.

La fede privilegiata del verbale, infatti, costituisce oggetto del giudizio per querela di falso e, quindi, non può rappresentare un elemento da valutare, in concorso con gli altri, al fine di stabilire l’attendibilità dei testi. Solo dopo aver accertato «la permanenza del suo valore fidefaciente per effetto della inidoneità delle prove offerte a dimostrarne la falsità» può essere un elemento da utilizzare per decidere la credibilità dei testimoni.

Giova ricordare che il verbale di accertamento fa fede sino a querela di falso (art. 2700 c.c.):

  • della provenienza del documento dal pubblico ufficiale che lo ha formato,
  • nonché delle dichiarazioni delle parti
  • e degli altri fatti che il pubblico ufficiale attesta avvenuti in sua presenza o da lui compiuti.

Pertanto, i suddetti fatti non possono essere legittimamente smentiti da un’eventuale prova testimoniale di segno contrario. Al fine di contestarne il valore, è necessario che l’opponente proponga querela di falso ex art. 221 c.p.c. (Cass. 1006/1999). Sul punto, la giurisprudenza ha chiarito che, nel giudizio di opposizione avverso l’ordinanza-ingiunzione con cui viene irrogata una sanzione amministrativa, il verbale di accertamento dell’infrazione:

  • fa piena prova sino a querela di falso con riguardo ai fatti attestati dal pubblico ufficiale rogante come avvenuti in sua presenza e conosciuti senza alcun margine di apprezzamento o da lui compiuti, nonché alla provenienza del documento dallo stesso pubblico ufficiale ed alle dichiarazioni delle parti,
  • mentre non è necessario l’esperimento della querela di falso «qualora la parte intenda limitarsi a contestare la verità sostanziale di tali dichiarazioni ovvero la fondatezza di apprezzamenti o valutazioni del verbalizzante, cui non si estende la fede privilegiata del documento» (
    Cass. SS. UU. 12545/1992)

Tornando al caso in esame, la presenza del trasgressore sul mezzo non costituisce una percezione sensoriale del verbalizzante ma è un’attestazione di un fatto accaduto in sua presenza e di cui si contesta l’esistenza (ossia l’opponente sostiene che si trovava nell’auto mentre l’agente lo nega). Il giudizio di querela di falso proposto dal ricorrente è volto a sottrarre la certezza legale al verbale di accertamento, ossia togliere al documento l’idoneità di far fede e servire come prova, pertanto, i giudici di merito non potevano basare il giudizio di infondatezza della querela proprio sul valore fidefacente del verbale, senza prima aver valutato l’idoneità della prova testimoniale.

Conclusioni: testi inattendibili solo se sussiste un interesse attuale e concreto

La sentenza gravata non ha operato una valutazione sull’attendibilità delle dichiarazioni rese dalle testimoni, in quanto si è limitata a richiamare il valore fidefacente del verbale. La circostanza che le testi siano parenti dell’opponente non è sufficiente ad escluderne la credibilità, atteso che al giudice è precluso ritenere inattendibili i testi, a priori, solo basandosi su tale aspetto. Il giudicante può giungere ad un giudizio di non credibilità unicamente allorché ravvisi un interesse concreto e attuale «idoneo ad attribuire al teste, in relazione alla situazione giuridica oggetto del giudizio, la legittimazione a chiedere nello stesso processo il riconoscimento di un proprio diritto» (Cass. 3011/1982).

La decisione impugnata viene cassata con rinvio alla Corte d’Appello che, in diversa composizione, dovrà statuire anche sulle spese di legittimità.